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Ieri 12 agosto è stato il mio compleanno. In tanti mi avete fatto gli auguri. Voglio ricambiare il vostro pensiero con un breve racconto.

Un resoconto di viaggio di 17 anni fa.

Correva l'anno 2000, il mese era agosto.

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Avevo 24 anni. Il 12 di agosto ne avrei compiuti 25.

Per me, figlio di ferroviere in pensione, era l'ultimo anno per potermi sparare un Interrail gratis per l'Europa.

Avevo davvero pochi soldi e soprattutto non avevo trovato nessuno che volesse venire con me.

"Poco male" pensai, "me ne andrò da solo".

Anche se le mie risorse erano risibili sapevo di avere con me una macchina formidabile. Quello strumento, oltre ad "ammazzare i fascisti" (tanto per fare una citazione colta di Woody Guthrie), quella macchina, sapendola usare a dovere, produce anche nutrimento. Quella macchina era la mia chitarra.

Proprio quella chitarra proveniente da Portaportese "cedutami" da Fabrizio Russo nel lontano 1995 in Via Labicana a Roma.

In verità è stata l'unica volta che in vita mia non ho pagato un debito d'acquisto. Giuro che un giorno, uno speciale, in qualche modo gliela pagherò.

Per essere concreti avevo solo 200 mila lire. Più o meno 200 euro di oggi. Pensai fra me e me "Me li farò bastare".

Mi sbagliavo. Erano pochi. E forse lo sapevo. Già, lo sapevo bene, ma me ne fregai altamente e con quella sana incoscienza che spesso mi ha contraddistinto in passato e spesso mi contraddistingue tutt'oggi, progettai il mio viaggio.

Dovevo scegliere una meta. Un posto in Europa, il più lontano possibile raggiungibile col treno. Cosa avreste scelto voi?

Io, tenendo conto che odio a morte le basse temperature, alla fine scelsi con sicurezza e fierezza: Dublino.

Stavo per progettare il mio viaggio in Irlanda. Da solo, con appena 200 mila lire, viaggio e ostelli pagati, uno zaino gigantesco e una chitarra in spalla.

Non esisteva internet come lo conosciamo oggi. I siti erano pochi. Le risorse on-line carenti.

Feci due conti e prenotai e pagai gli ostelli nei luoghi sul tragitto di andata, di ritorno e di permanenza a Dublino.

Feci la trafila burocratica allo sportello per avere il mio Interrail gratuito. Partii a fine luglio, precisamente il 20. Quindici giorni in tutto. Sarei ritornato il 5 agosto.

Partenza da Napoli. Cambio a Roma, poi a Milano e arrivo a Bruxelles. Lì avrei dormito dal mio caro amico di università Mino Antonaci.

Era l'ultima notte del suo stage e permanenza in Belgio. Infatti al ritorno non lo avrei trovato.

Quella sera, da bravi studenti italiani, mangiammo una grande carbonara cucinata da Mino a casa sua. La notte ce ne andammo in giro per la città. Bevemmo tante buone birre. Tornammo a casa e la mattina ripresi il treno per Ostenda.

Appena arrivato in Olanda raggiunsi il porto. Solo che il treno aveva avuto un po' di ritardo e anche la nave seguente partì a sua volta con ritardo.

Sbarcai in Inghilterra. Avevo letto delle "Bianche Scogliere di Dover" su alcuni libri di favole da bambino.

Io bambino lo ero stato solo quindici anni prima. Ebbene era tutto vero. Quelle scogliere sembravano fatte di formaggio.

Raggiunsi la stazione. Presi il primo treno disponibile e arrivai a Londra.

Avevo fatto male i conti. Con i ritardi accumulati l'ultimo treno per arrivare a notte fonda a Dublino era partito.

Mi ritrovavo nella capitale inglese senza un posto dove andare. A Bruxelles le birre avevano eroso buona parte di quelle 200 mila lire, così come il pranzo del giorno seguente in Olanda.

All'epoca non c'era l'euro. Bisognava cambiare valuta in ogni stato d'Europa che si attraversava e il cambio costava. Un po' di tabacco e cartine li avevo comprati. In definitiva avevo davvero poche risorse.

Capii che, contrariamente ai piani, avrei dovuto dormire a Londra e ripartire l'indomani per Dublino col primo treno disponibile. Cambiai i miei soldi nelle maledette sterline. Il costo del cambio fu un furto bello e buono.

Avevo si e no 50 sterline. Aprii la mia guida degli ostelli d'Europa e ne scelsi uno. Con me avevo portato il mio nokia 3110. Cercatelo oggi su internet e capirete di cosa parlo. Lo avevo portato per gli sms, come àncora di salvezza per comunicare con i miei genitori.

Non avevo preso in considerazione però che il caricatore andava bene solo in Italia. Quindi diligentemente lo tenni spento e lo accesi per tutto il tempo solo la sera per inviare ogni due/tre giorni un sms a mio padre per dire se stavo bene o per comunicare se fossi morto.

Arrivai all'ostello ma con fare quasi ironico la tipa alla reception mi disse in un inglese speditissimo che là non c'erano posti e che non ne avrei trovati molti in città al 15 di luglio.

Mi sentii perso. Avevo 25 anni e nella testa mi rimbombavano i racconti di amici più grandi stati a Londra (Oto Tortorella) che narravano di giovani inglesi figli di persone facoltose che come hobby la notte giravano in folti gruppi a fracassare la testa degli stranieri, specialmente se italiani.

"Mmm... no " pensai, "non posso passare la notte per strada".

Allora cercai e trovai alcuni ostelli sulla guida, che costassero poco e che fossero ben collegati con la stazione di Londra. Chiamai dal telefono a cabina i vari ostelli.

Al telefono il loro inglese correva come un treno senza freni. Chiesi informazioni ma non capii nulla. Riagganciai un po' disperato. Il mio inglese parlato era discreto. Di persona capivo e comprendevo abbastanza bene la lingua. Ma a telefono era davvero difficile stare dietro a quel che dicevano e quel che domandavano.

A quel punto giocai il Jolly. Accesi il cellulare e recuperai il numero di un giovane arianese che viveva a Londra il quale alcuni mesi prima mi aveva detto: "Se capiti a Londra chiamami, se hai problemi sappi che ci sono io! Chiamami eh!".

Chiamai. Già il solo sentir parlare in italiano e con inflessione arianese mi tranquillizzò. Ma la mia tranquillità durò giusto una decina di secondi. Appena dissi che ero a Londra il tono amichevole del "Ciao bello come stai, dimmi" cambiò improvvisamente.

Mi disse che non poteva aiutarmi, non sapeva dove farmi alloggiare e che potevo cercare e che avrei trovato sicuramente qualcosa.

Seguii la mia indole e non insistetti e riagganciai. Uscii dalla cabina telefonica che era dentro l'ostello senza alcuna soluzione nella testa. Quell'ostello non aveva posto e non riuscivo a trovare niente altro.

Tornai alla reception. La ragazza un po' stizzosa non c'era più. C'era un ragazzo della mia età. Riccio, scuro, con la pelle olivastra.

Gli spiegai in inglese il mio problema. Lui capii e aggiunse: "io hablo un pochito di italiano". Cambiai espressione, mi illuminai. "Tu sei spagnolo!?!" gli chiesi con tono felice. "No no io soy englese". Lo guardai come per dire "non mi freghi".

"Ok" gli dissi "puoi aiutarmi?".

"Certo" mi rispose, "ora chiamo qualche altro ostello economico e vediamo se c'è posto".

Fece qualche telefonata da dietro il bancone. Poi si avvicinò. C'era un ostello in Bellgrave Road e aveva 1 posto in una quadrupla. Mi diede l'indirizzo e il loro telefono.

Lo ringraziai con gli occhi pieni di riconoscenza.

Mi feci un po' di conti con la piantina in mano e presi la costosissima metropolitana di Londra per raggiungere Bellgrave Road.

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Arrivai a Bellgrave Road. Una strada molto grigia. Sembrava tutto ok, ma non trovavo il civico. Ci misi forse un'ora su e giù per quella strada. Alla fine il civico era davanti a me, ma era un seminterrato.

"Va bene dai" pensai "Sempre meglio di dormire per strada".

Entrai. Andai alla reception. Un tipo molto strano si avvicinò. Gli dissi il mio nome e cognome. Lui annuì. Mi disse il piano e il numero della camerata. Avevo una fame da lupo. Ero solo con la colazione fatta alla mattina ad Ostenda, in Olanda, ed erano le undici di sera. Prima di salire mi disse in inglese: "Se vuoi cenare qualcosa puoi cucinare le tue cose. Là c'è la cucina" ed indicò un angolo.

C'era un piccolo piano cottura di colore chiaro con tre fuochi ma veramente sporchissimo, pieno di vari pezzi di cibo e alcune formiche che spiccavano e gironzolavano. Esitai qualche istante.

Guardai lui, guardai il piano, ascoltai il mio stomaco, guardai di nuovo lui, di nuovo la cucina.

Gli dissi in inglese "ok, grazie per l'informazione, ci penso". La fame d'incanto svanì.

Salii sopra e posai il mio enorme zaino da campeggio. La mia chitarra. Scesi giù nella hall. C'era una TV accesa. Quattro o cinque persone sedute sui divanetti. Salutai e mi accomodai. Pensai che con quella fame, senza soldi e con quella cucina schifosa mi restava solo una cosa da fare: FUMARE! FUMARE TANTO!

Tirai fuori il tabacco e rullai una sigaretta. Fumai. Poi ne rullai altre e le fumai lentamente. Guardai un po' la TV. Presi in mano alcune riviste che erano sui tavolini. I tipi cominciarono a parlare fra loro un inglese fulmineo e poi mi guardavano in maniera un po' torva e sospetta. Altre frasi veloci. E poi mi fissavano. Non capivo.

Pensai: "stanotte non dormo, è sicuramente più sicuro che io resti sveglio".

Mi guardai intorno.

Appesi ai muri tutta una serie di quadri fotografici che ritraevano indigeni di colore in riti voodoo. Alcune foto abbastanza violente e crude. Passarono un paio d'ore.

Accesi il cellulare. Mandai un sms a mio padre.

"Tutto ok" scrissi. Ma non ero del tutto convinto di scrivere esattamente la verità.

I tipi passavano lunghi minuti in silenzio. Poi scambiavano velocemente delle battute e mi guardavano. Si fecero le 2. I miei occhi non ce la facevano più. Ero stanco, assonnato, affamato, senza un soldo, in un posto dove non parlavano la mia lingua e parlavano in un modo che non mi permetteva di capire. Ero anche un po' impaurito. Le raffigurazioni ai muri non erano per niente rassicuranti.

Pensai al testo di Hotel California degli Eagles in cui un ospite di un Motel viene sacrificato al demonio con un rito satanico. Ansia.

Pensai che Bellgrave Road in italiano significa esattamente Strada delle Campane di Tomba. Ansia.

Ad un certo punto la risolutezza d'animo prese il sopravvento.

"Me ne vado a dormire" dissi a me stesso, "e se mi ammazzeranno non me ne frega niente. Sono certamente in preda alla suggestione. Andrà tutto bene".

Me ne salii in camera. Mi arrampicai sul mio letto a castello e sprofondai in un sonno profondissimo.

La mattina aprii gli occhi. Fui felice. Non mi era accaduto nulla. Una ragazza della mia età gironzolava mezza nuda per la camera. Si rivestì ed uscì. Scesi dal mio letto. Mi vestii, mi sciacquai, pagai e me ne andai verso la stazione.

Presi il treno. Avevo coincidenza a Crew alla volta di Holyhead.

Sul tragitto praterie verdi sterminate piene di mucche brucanti. Mucche, tante mucche.

Arrivai al porto. La nave era in netto ritardo. Quando salii feci amicizia con due persone. Un figlio e una madre. Lui cinquantenne e lei settantenne. Mi chiesero dove andassi, da dove venissi. Andavano al mio stesso ostello a Dublino. Parlammo tutto il tempo in nave. Erano irlandesi. Lei aveva sposato un inglese e aveva avuto quel figlio. Ma il marito poi li aveva abbandonati. Tornavano in Irlanda di tanto in tanto.

Prendemmo lo stesso taxi per raggiungere l'ostello e dividemmo le spese.

I miei soldi oramai erano agli sgoccioli. Anche qui alcune spesucce e il cambio valuta giocarono male.

Arrivai in ostello e persi di vista i due compagni di nave. L'ostello era molto grande, carino e pulito. Erano circa le 2.30 di notte. Chiesi per la mia stanza. Avrei dovuto alloggiare in una sestupla.

"Sono desolato" mi disse in inglese il tipo alla reception. "Abbiamo sbagliato e lei è in un'altra stanza, quella grande.

Però se resta e accetta le restituiamo tutta la differenza e anche qualcosa in più per il disguido".

Lo guardai e chiesi "Quanti letti ci sono nella stanza GRANDE". Esitò e poi mi disse con sicurezza professionale "Trentadue signore, lei è il trentatreesimo".

Attimo di indecisione. Bestemmia intestinale.

Il primo pensiero andò ai soldi che mi avrebbero restituito. Del resto poi non avevo cos'altro fare.

"Ok, nessun problema, mi dia le chiavi". Le chiavi erano una tessera con banda magnetica che all'epoca non erano molto diffuse in italia. Andai in camera. Strisciai la mia tessera. Entrai.

Nella stanza era buio pesto. Ma pesto veramente. La prima cosa che pensai: qua finisco nel letto con qualcuno per sbaglio e si scatena la rissa. Accesi il flebile schermo del mio nokia 3110. Trovai il mio posto. Del resto era l'unico libero.

Mi arrampicai sul mio letto a castello.

L'odore umano era forte, ascelle, piedi, aliti, scoreggine, ma tutto sommato sopportabile. Ero sporco come un cane. Avevo fame. Il viaggio era durato circa 4 giorni. In fondo però ero sereno. Finalmente un posto dove dormire senza ansia, pulito e soprattutto a Dublino, là dove volevo arrivare. Come ogni sera mi abbracciai alla mia chitarra e mi addormentai profondamente. La mattina mi feci una doccia di 1 ora. Un'intera ora a lavarmi.

Ad oggi resta ancora la doccia (da solo) più lunga e bella della mia vita.

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Subito dopo la doccia diluviana feci colazione. Una colazione sterminata. Quello che qui in Italia è un pranzo. Roba dolce ma anche salata. Fette biscottate, crema al cioccolato tipo Nutella, cornetti, latte, the, biscotti, ma anche soprattutto affettati, formaggi, marmellate, uova e spremute e caffè lunghi. Mangiai a strafottere quella mattina e tutte le mattine che seguirono.

Avevo si e no una cinquantina di sterline irlandesi. Sapevo che un 10/20 sterline mi sarebbero servite per il ritorno per i mezzi pubblici. Quindi la mattina dovevo fare il pieno di calorie.

La prima mattina mi ritrovai con la mamma e il figlio conosciuti in traghetto. Con loro passai i primi 3 giorni. Da bravi irlandesi mi portarono ovunque. Cattedrali, monumenti, pub, musei, strade. Mi spiegavano, mi aiutavano, mi furono di supporto. Mi offrirono anche un pranzo frugale e diverse pinte di birra.

La quarta mattina loro partirono ma non riuscimmo a salutarci. Rimasi male. Probabilmente ci capimmo male sull'appuntamento per il commiato e non li ho più rivisti.

A quel punto mi restavano 4 giorni a Dublino e 4 di viaggio di ritorno. Comprai del tabacco. Camminai per Temple Bar. Mi fermai nei Pub, ascoltai musica dal vivo. Bevvi, conobbi e parlai con persone. Camminai così tanto che mi spaccai i piedi. Cominciai a perdere sangue.

Andai in farmacia, e incredibile a dirsi, non riusci a fargli capire che volevo l'acqua ossigenata, o comunque un disinfettante.

Provai addirittura a scrivergli la formula chimica su un foglio, H2O2.

Niente da fare, incredibilmente non capirono. Tornai in ostello. Mi lavai i piedi per bene. Li tenni per un pomeriggio a riposo e ricominciai a camminare per Dublino.

Comprai un altro pacco di tabacco e capii definitivamente che avevo finito tutti i soldi disponibili.

Avevo solo le colazioni pagate. Mangiando solo la mattina e qualche Guinness nel pomeriggio e la sera... beh la fame come una iena cominciava a farsi di nuovo sentire.

Presi la chitarra e girai un po' di locali per chiedere di suonare in cambio di pochi soldi. Nulla. Nessuno mi accordò una serata. Disperato mi trovai a parlarne col tipo alla reception.

Mi guardò e mi disse "qui nessuno paga per suonare nemmeno 1 sterlina al primo che capita. Se però hai fame chiedi di suonare in cambio della cena, avrai molte ma molte più possibilità".

Così feci. Effettivamente nessuno mi negò lo scambio. Suonai per tre sere di seguito in vari locali. In alcuni suonavo e cenavo, in altri suonavo in cambio di birre, tante birre.

Cominciavo con roba angloamericana. Rolling Stones, Beatles, Dylan, Lou Reed, Joplin, Marley. La gente apprezzava e i gestori mi riempivano il tavolo di birre o di piatti da mangiare.

Poi però spesso entravano delle comitive rumorose, casinare.

Io li sentivo parlare e dicevo a me stesso "Oh Madonna Santa eccoli qua!".

Loro si sedevano, bevevano, mangiavano, poi bevevano ancora, e poi bevevano ancora.

Poi qualcuno si avvicinava barcollando appena e con l'accento tipico mi chiedevano "do you know some musica napulitana?".

Io li guardavo, li fissavo, capelli biondi, occhi chiari, barba rossa di 20 cm.

Un paio di secondi di silenzio e gli facevo gridando e sorridendo:

"MA CERTAMENTE!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!"

E là scoppiava una bufera di delirio, giubilo e commozione. Abbracci e comunione di comitive irlandesi e italiane con me che suonavo e loro che sguaiatamente e festosamente cantavano OI VITA OI VITA MIA... e decine e decine e decine di pinte alzate. E poi vomitate fuori il locale e poi ancora canzoni.

In verità avevo usato a tradimento le mie fattezze poco mediterranee anche un paio di giorni prima con due ragazze romagnole. Mi sfottevano per il tipo di tabacco che usavo. Io facevo finta di niente. Fu una sottile soddisfazione il loro imbarazzo quando gli risposi in italiano dopo una ventina di minuti che mi sfottevano pensando che non le capissi.

A Temple Bar ho provato anche a suonare per strada a cappello a terra.

Ma due volte su due frotte di ragazzini sui 10/11 anni, le cosiddette baby gang, arrivavano e mi facevano saltare tutti gli spicci a calci.

Mi spiegarono poi che è meglio non reagire. Per cultura quei ragazzini vengono sempre coperti e giustificati dagli adulti che potrebbero decidere di abbuffarti di mazzate.

Così abbandonai il progetto "A Cappella" e continuai a suonare nei pub in modalità baratto.

A Dublino arrivata una certa ora pioveva sempre. La gente sembrava che aspettasse quella pioggerellina fastidiosa per uscire a fare jogging. Io soffrivo molto sia la pioggia e sia la temperatura non proprio da agosto italiano.

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Insomma il giorno della partenza arrivò. La mattina mi svegliai decisamente tardi. Persi il pullman per il porto. Presi quindi quello successivo. Fortunatamente anche il traghetto era in ritardo.

Quel ritardo però mi fece arrivare tardi a Crew e di conseguenza tardi a London Bridge.

Chiesi con garbo ripetutamente a un tipo sui trentanni, ben vestito, dove fosse il binario del treno per Dover.

Scandii con calma per essere sicuro di essere capito.

Il tizio sentii il mio accento italiano e con evidente disprezzo mi snobbò dicendomi che non capiva e mi girò le spalle.

Persi il treno che mi partì davanti agli occhi.

Quello successivo sarebbe arrivato dopo l'orario di chiusura del mio ostello a Dover. Ero in ansia terribile. Si profilava di nuovo il rischio di dormire in strada per giunta con un ostello già pagato con prima colazione inclusa. Che nervi!!!

Aspettavo il mio treno andando avanti e indietro nervosamente. Immagino che le mie espressioni facciali non fossero propriamente serene. Sbuffavo.

Si avvicinò una signora sulla quarantina e mi dice "qual è il tuo problema ragazzo, sembri nei guai".

Io le rispondo di sì e le spiego il mio problema. Lei mi fa: "Scusa chiama in ostello".

D'istinto risposi con un filo di sdegno in italiano: "Grazie al Cazzo!".

Lei ovviamente non capì e mi fece: "What?!?".

Le dissi in inglese che per telefono facevo fatica a spiegare questa cosa complicata e sopratutto a capire se avessero compreso che sarei arrivato in ritardo e se mi avessero aspettato.

Lei mi disse "Chiamo io per te, dammi qualche spicciolo che chiamiamo da quella cabina". Abbassai lo sguardo e con fare serioso e dimesso dissi: "Non ho soldi, ho finito tutto".

Lei allora estrasse il suo cellulare e mi fa "Forza dammi il numero!".

Quella frase in inglese non me la scorderò mai: "Com'on boy gimme the number!".

Mi illuminai di felicità. Lei chiamò in ostello a Dover, spiegò tutto e mi disse: "Ti aspettano fino all'una". Mi rilassai e mi girai una sigaretta.

Il treno arrivò a Dover verso mezzanotte e quaranta. Guardai la cartina. C'erano alcuni km dalla stazione di Dover fino all'ostello. A piedi non ce l'avrei mai fatta per l'una. Cominciai di nuovo a frullare col cervello. Come fare?

Arrivammo. Ero carico sempre del mio zaino gigante e della chitarra.

Una giovane coppia della mia età stava per scendere. Dissero il nome dell'ostello. Era il mio stesso ostello. Mi guardarono e chiesero "Sai dov'è, sai se è lontano?".

Risposi di sì e che era il mio stesso ostello. Mi chiesero se ci fossero taxi. Risposi che non sapevo.

"E tu come fai?" mi dissero. Risposi "Vado a piedi".

"Ma è molto lontano, prendi un taxi".

Risposi che non avevo soldi.

Mi guardarono. Poi si guardarono fra loro e mi dissero "Se ci sono dei taxi lo prendiamo e vieni con noi". Ringraziai il cielo, il destino e le mie stelle.

Arrivammo e la donna alla reception mi disse che la stanza era scomoda perché era da 8. Mi venne da ridere. Non sapeva da dove arrivavo.

Io ne ho viste di cose...

Mi addormentai e dormii fino alle 9.

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Mi svegliai, mi lavai, mi vestii e scesi a fare colazione. Avevo fame. Assai fame. Mi chiese la cuoca dietro i fornelli: "Tu hai la colazione tradizionale inglese, giusto ragazzo?" ed io "Si giusto" e sorrisi.

Cari amici... il delirio alimentare: pane imburrato, marmellate, cappuccino, cornetti, the, wurstel, uova, pancetta arrostita, succo di frutta, biscotti, affettati, latte caffé, formaggi vari.

Alla fine la tipa mi guarda e mi fa con una padella in mano "AND NOWWW" e mi piazza davanti un piatto fondo pieno di fagioli al sugo con salsicce. Il tutto alle 9 di mattina.

Mi stava prendendo un ictus. Uno shock epatico. Mangiai tutto ragazzi, TUTTO.

Salii sul traghetto e, tu guarda un po', stetti male con lo stomaco.

Su quel traghetto persi la macchinetta fotografica a rullino, di quelle usa e getta, con tutte le foto di quei giorni. Fortuna che tutto resta nella memoria.

Arrivai in continente via mare a Ostenda e poi col treno a Bruxelles. Arrivai in un ostello bellissimo. Grande, pulito e rifinito. Al pian terreno discoteca e bar.

Per paura di svegliarmi tardi passai la notte in piedi al bar in compagnia di un ragazzo inglese un po' ubriaco che voleva che gli insegnassi a dire le frasi per approcciare le ragazze in italia e di una ragazza spagnola iperattiva che parlava sempre.

Arrivarono le 7 e mi incamminai verso la stazione. Raccolsi tutti gli spiccioli di tutte le nazioni in cui ero stato e al cambio mi restituirono dieci mila lire (come 10 euro di oggi).

"Maledetti ladri" pensai "Arriverà un giorno con una sola moneta per tutta l'Europa e voi dovrete morire tutti di fame".

In quel treno dormii per un 4/5 ore. Mi svegliai e di fronte a me mi ritrovai un omone nero carbone. Aveva una cinquantina di anni.

Mi vide sveglio e si presentò. "Mi chiamo George" disse in inglese.

Con gli occhi ancora pesti di sonno porsi la mia mano. "Fabrizio" gli dissi.

Mi chiese di dove fossi e mi disse da dove veniva. Era statunitense, del Mississippi.

Aveva un cappello in testa, era ben vestito.

Mi disse: "Tira fuori la chitarra dal fodero che io tiro fuori la mia e suoniamo un po', ti va?".

"Certo che sì" gli dissi. Suonammo Rolling Stones e Beatles, Dylan e Lou Reed e altre cose del genere.

Cantava da dio come solo i neri sanno fare. Ci facevamo le doppie voci a vicenda. Dopo già la prima canzone partì l'applauso dei viaggiatori del vagone dove eravamo. Lui con una disinvoltura mai vista prima si alzò e col cappello passò fra gli altri viaggiatori. E così fece ogni 3/4 canzoni per tutta l'oretta che abbiamo suonato.

Alla fine divise a metà l'incasso totale. George scese alla stazione di Ginevra. Andava a trovare sua figlia. Ci salutammo con una calorosissima stretta di mano. Mi lasciò la sua email.

Dopo poco arrivai a Milano. Giuro, non avrei mai creduto, da meridionale, di arrivare a Milano e sentirmi a casa.

Con i soldi divisi con George mangiai.

Comprai del tabacco, un caffé e salii sul treno notturno per Napoli.

La notte dormii.

Arrivato a Napoli si crepava dal caldo. Era il 5 di agosto. Presi il pullman per casa, per Ariano Irpino.

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Arrivai a casa. Mia madre mi guardò. Non riusciva a credere sia a quanto oramai i capelli fossero lunghi, a quanto la barba era diventata incolta e soprattutto a quanto io puzzassi.

Ero stanco morto. Misi il telefono in carica. Il telefono squillò.

Era Aldo Memoli.

"Fabrizio, sei tornato?"

"Aldo sì sono tornato perché?"

"Ti ricordi di stasera?"

"No che cosa?"

"Stasera devi suonare in piazza, per il concerto del Putipù"

Porca miseria... me ne ero dimenticato!

"Aldo, sì... va bene... ma... sono appena arrivato da Dublino. Mi faccio una doccia e vengo"

"Sì, ma muoviti capito, sono le otto e alle 22 devi stare sul palco, devi cantare due pezzi tuoi. Hai due ore per rimetterti in sesto.".

"Ok va bene, a dopo".

Mi feci una doccia, mi ripulii e me ne andai in Piazza Plebiscito a suonare due mie canzoni.

Storia di un Pettirosso

e

Due di noi.

Di quella sera del 2000 restano i due video delle due canzoni. Ero stravolto dalla stanchezza ma cantai con piacere. Ero tornato da un lungo viaggio, difficile, particolare, stravagante ma ero diventato sicuramente più ricco e non certo di soldi.

Sul palco presentavano Sergio Albanese e Monica De Benedetto

Qui ci sono i due video di quella sera del 5 agosto del 2000

- Due di noi

- Storia di un Pettirosso

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Fu una grande avventura, erano giorni meravigliosi. Anni formidabili.

A gennaio ero stato in California, San Francisco, ospite di due persone veramente speciali Antonia Maiello e Filippo Mecacci. Andai a prendere mia cugina Terenia.

Dopo qualche giorno, il 9 agosto del 2000, avrei suonato a Vicoli e Arte con Daniele Cambria.

Avrei compiuto 25 anni a giorni.

Ero fidanzato con Rosalba Carchia e avevo due genitori giovani.

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Agosto, tiepido ed entusiasmante, era per me allora come anche oggi, il mese che adoravo, così come amavo e amo scrivere e cantare canzoni.

In fondo i ricordi e la nostalgia servono soprattutto per essere felici per ciò che è accaduto.

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